Ben presto ho avuto conferma che in nessun altro modo sarei stata in grado di esprimere i miei pensieri con tanto coraggio e coerenza e così non ho mai smesso di affidarmi alla forza della penna.
Infatti, ho quasi subito realizzato che scrivere mi avrebbe aiutata a sopperire alla mia timidezza e alla confusione che spesso aleggiava nella mia mente. Se parlando la mia testa pareva saltellare come un grillo impazzito tra un pensiero e l'altro, lasciandosi sopraffare da ogni critica o dubbio, la mia voce scritta non mi tradiva mai, portando sempre a termine ogni concetto con cura e decisione.
Per lunghissimo tempo mi sono affidata quasi esclusivamente alle lettere, agli scambi di bigliettini sottobanco, ai temi lunghi pagine e pagine, ai racconti e più avanti anche a sistemi più immediati come le e-mail e le chat.
Lo scrivere non era solo uno dei tanti mezzi di comunicazione a mia disposizione, ma con il tempo è diventato soprattutto un modo per dare senso alle cose, anche a quelle apparentemente più banali.
E se mettere nero su bianco parole ed idee per alcuni è un dovere, per me è diventata necessità che non posso più controllare, un turbinio di energia che si muove vorticosamente dalla pancia fino alle mani, a volte senza nemmeno passare per la testa, portandomi ad asserzioni così forti e profonde che spesso mi creano grande imbarazzo durante la rilettura.
La verità è che la mia voce non sarebbe mai stata in grado di dire certe cose, così come il mio cuore non avrebbe sopportato uno scontro diretto altrettanto facilmente e temo che senza la scrittura sarei ancora imprigionata in situazioni tossiche.
Eppure, nemmeno la paura e l'incertezza possono fermare il movimento che scappa dalla gola per incanalarsi nella mano e dare vita ad una mescolanza di lettere, spazi e punti che sanno guarire e ferire più di ogni altra cosa.
E ancora oggi prego sempre di poter trasferire ogni comunicazione in scrittura, affidandomi all'unica arma che sento di poter brandire per proteggere le mie idee.
Anche nel mio libro ho tentato di nascondere pensieri, a volte estremi o per meglio dire troppo intimi, nelle tele emotive dei suoi personaggi, lasciando che fossero loro a gridare le parole che non so ancora come pronunciare.